Per chi come me è abituato a mescere il vino, ad abbinarlo ai sapori e ai colori della tavola, a dosarlo sapientemente in raffinati piatti d'eccellenza, per le occasioni speciali ad abbinarlo alle persone e alle celebrazioni.provare a raccontarlo non è esercizio facile.
Il vino è infatti più che un alimento, più che una bevanda, una sensazione, un'atmosfera, è la sacralità di una benedizione, l'essenza stessa dello shabbat, accompagna il rito del matrimonio,
la celebrazione di pesach, i festeggiamenti di purim e molto moltissimo altro.
Rassicurato da un buon calice del prezioso nettare - non poteva essere diversamente - provo quindi a cimentarmi su un terreno per me affascinante quanto inesplorato.
Un pò di storia
Per iniziare a raccontare un po' della sua storia non si può non partire dalla Bibbia: centinaia sono infatti le citazioni e gli episodi che lo raccontano basti pensare che la parola "yain" (con la quale si indica il succo d'uva fermentato) compare centinaia di volte solo nel vecchio testamento. Ricordiamo tutti il celebre episodio di Noè - a tutti gli effetti il primo a sperimentare lo stordimento, l'eccitazione e il piacere intenso del vino - che maledì il figlio Cam che aveva ardito fissarlo mentre dormiva discinto dopo aver alzato un po' il gomito. Non meno celebre l'ubriacatura di Lot, indotta dalle figlie ("Facciamo bere del vino a nostro padre e corichiamoci con lui, così faremo sussistere una discendenza") e i cui effluvi condussero all'unione incestuosa da cui nacquero Moab e Ben-Ammi capostipiti delle tribù dei Moabiti e degli Ammoniti. Ed ancora, gli esploratori che per primi andarono in ricognizione nella terra di Canaan ne tornarono con enormi grappoli d'uva: scena biblica che trovo di grande fascino perché capace di evocare al contempo la ricchezza e l'opulenza di una terra all'euforia della scoperta. Molto frequenti e decisamente importanti i passaggi dedicati al vino anche del Nuovo Testamento: dal miracolo - il primo secondo il vangelo di Giovanni - avvenuto nel corso di un banchetto nuziale a Cana in cui Gesù commuta l'acqua in vino, senza dimenticare il celeberrimo episodio dell'ultima cena in cui Gesù esorta a bere il vino come rappresentazione del suo sangue. Bastano questi pochi cenni per rendersi conto che raccontare la storia del vino è un po' come ripercorrere in una chiave diversa il cammino stesso dell'umanità: ogni civiltà, ogni impero, ogni periodo storico ha qualcosa da raccontare sul vino più o meno legato agli eventi che hanno segnato il corso della storia.
La sacralità del vino
Il vino, preferibilmente rosso, assume nella tradizione ebraica un valore specifico legato alla celebrazione delle festività. Baruch attà Ado-nay Elohenu melek ha-olam borèi perì ha-gafen (Benedetto sia Tu Signore nostro D-o, Re del mondo, creatore della vite) benedizione sul vino che si recita nel kiddush (consacrazione) del venerdì sera è forse la più nota delle preghiere ebraiche dopo lo shemà. La santificazione del sabato, che trova il suo fondamento in un preciso comandamento della Torà e che anche dai laici è riconosciuto come un contributo decisivo dell'ebraismo alla civiltà moderna, è segnata dalla benedizione del pane e soprattutto del vino. E' usanza riempire il calice fino all'orlo e, al termine della berachà passare la coppa ad ogni commensale dal più anziano al più giovane dagli uomini alle donne. Durante la celebrazione della Pasqua ebraica i calici di vino da bere sono addirittura quattro: una delle motivazioni di questo precetto è legata a ciascuna delle forme di salvezza citate nella Bibbia (Esodo) in riferimento all'uscita degli ebrei dall'Egitto: "Io Sono il Signore e vi farò uscire da sotto le oppressioni dell'Egitto, e vi salverò dal loro lavoro e vi redimerò con Braccio disteso e con grandi giudizi. E vi prenderò per Me come popolo e sarò per voi come D-o, e voi saprete che Io Sono il Signore che vi fa uscire da sotto le oppressioni dell'Egitto". Un'altra interpretazione ci spiega che il primo bicchiere è quello del Kiddush: rappresenta la cessazione del lavoro fisico, il momento in cui Israele santifica se stesso, il modo in cui riacquista la propria identità e si distingue dagli altri popoli. Il secondo bicchiere è quello del Magghid: si beve alla fine della prima fase del seder - quella del racconto - e simboleggia l'uscita stessa dall'Egitto. Il terzo bicchiere è quello della Bircat ha-Mazon: il pasto della sera del seder si consuma tra le due parti dell'Allel, metaforicamente è come il popolo ebraico in mezzo alle acque. Il quarto bicchiere è quello dell'Allel: è il dono della Torà è il modo in cui attraverso l'osservanza delle mizvot possiamo lodare il Signore. Da non dimenticare la festività del Purim (festa delle sorti) erroneamente identificato come il "carnevale degli ebrei" per la consuetudine di mascherarsi e a volte per la concomitanza temporale con il carnevale dei gentili. Durante questa festa di somma letizia per lo scampato pericolo che affliggeva il popolo Ebraico nella Persia dell'antichità, oltre ai precetti di leggere la storia della festa, (meghilla di Ester) far doni, banchettare è auspicabile bere al punto di non riconoscere il giorno dalla notte. E una breve carrellata sulla sacralità del vino può certamente chiudersi con la celebrazione del matrimonio ebraico e l'immagine che da sempre colpisce di più l'immaginario collettivo, che più rimane impressa nella mente e nei cuori, che in tutti i film a tema è la più rappresentata per la suggestione che evoca al contempo di grande gioia e struggente dolore: la rottura del calice del vino che suggella l'unione dello sposo e della sposa. In buona sostanza il vino Kasher accompagna costantemente la vita spirituale e materiale dell'ebreo, ma è importante non dimenticarne il valore sacrale per non incorrere in episodi quali quello di Noè e Cam o di Lot e le sue figlie.
La normativa
Agli ebrei è consentito bere il vino (e i suoi derivati) a condizione che sia kasher (idoneo) e soprattutto, per poter essere impiegato nelle celebrazioni rituali, il vino deve subire un controllo rigoroso che non riguarda solo le sue caratteristiche organolettiche ma l'intera fase che va dalla coltivazione alla vinificazione. E' interessante notare come anche il vino da Messa secondo il codice di diritto canonico debba "provenire dalla vite, essere naturale e non corrotto" e spesso la produzione viene affidata ad ordini religiosi o con autorizzazione del Vescovo a privati. Le regole legate alla coltura valgono per tutti i prodotti agricoli coltivati in Israele e sulle terre di proprietà di ebrei e sono principalmente tre: 1. Orlah: nei primi tre anni è proibito raccogliere i grappoli. 2. Shmitah: ogni sette anni la vite deve essere lasciata a riposo e non se ne devono raccogliere i frutti. 3. Kilai Hakerem: non sono consentite le colture promiscue e dunque tra i filari della vigna non possono essere coltivate piante da frutta o altro. Nella fase prettamente di vinificazione il vino deve essere trattato unicamente da ebrei praticanti (che rispettano l'osservanza del sabato). Anzitutto prima della vendemmia il Rabbino che sovrintende la kasherut insieme ai mashghihim (sorveglianti) provvede ad un'accurata pulizia e bonifica di tutti i macchinari che verranno utilizzati per produrre il vino. Per capire la complessità e la scrupolosità di questa procedura occorre sottolineare che il tutto ha una durata di alcuni giorni. L'intervento del mashghiah inizia già al momento dell'arrivo delle uve: i rimorchi vengono solo posizionati, ma è unicamente lui che può dare il via alla vinificazione e quindi avviare il sollevamento del trattore in modo che l'uva confluisca nella vasca di raccolta. Gli stadi successivi sono quelli classici della produzione del vino: raspatura, pigiatura, macerazione e fermentazione. Alcuni coadiuvanti di vinificazione, tuttavia, devono a loro volta essere rigorosamente certificati per fare in modo che la produzione sia effettivamente kasher: il che esclude a priori l'utilizzo di coadiuvanti di origine animale come gelatine e colle. In generale potremmo dire che gran parte delle fasi di stabilizzazione dei vini vengono ottenute per via fisica e non per via chimica: un esempio ne è la refrigerazione tartarica che viene ottenuta attraverso la refrigerazione statica del vino e non aggiungendo acido metatartico. I masghihim seguono tutte le fasi successive fino all'imbottigliamento recandosi periodicamente alla cantina per effettuare travasi, filtrazione e quanto necessario per ottenere il risultato finale. Una menzione ultima merita il confezionamento: tutte le bottiglie ricevono tre sigilli (tappo, capsula ed etichetta) dove è ben visibile il marchio di chi ha curato la kasherut.
La riscoperta e la valorizzazione del Vino Kasher
Negli ultimi vent'anni si è iniziato ad avere una maggior cura e consapevolezza del cibo che mangiamo, una certa forma di benessere stratificato ha reso infatti possibile non solo semplicemente sfamarsi ma iniziare a verificare la bontà degli alimenti e del vino. La mia generazione beve meno ma probabilmente meglio di quanto non abbiano potuto i nostri genitori ed anche il mercato del vino kasher si è decisamente evoluto. In sostanza abbiamo imparato che, se bere una determinata quantità di vino è parte dei precetti legati a questa o quella festività, non si viene meno al precetto stesso se il vino in questione è anche buono.anzi probabilmente lo si osserva con maggiore entusiasmo! Negli ultimi decenni da una parte si è affinato il gusto enologico degli ebrei (ai più osservanti mancavano parametri di giudizio, in quanto il vino dei Gentili gli è precluso) dall'altra anche le cantine produttrici stimolate da un potenziale ampliamente del mercato hanno iniziato a produrre vini kasher di migliore qualità. E anche in Italia, che per antonomasia svetta in cima alle classifiche dei migliori vigneti del mondo, sono sempre di più le cantine che affiancano alla normale produzione di vino quella kasher, migliorandone costantemente il gusto ma al contempo continuando a garantire il rigoroso controllo Rabbinico che non permette nessun tipo di sofisticazione. Sempre più spesso, inoltre, l'attento consumatore vuole conoscere esattamente dove e come è stato prodotto un determinato alimento e le aziende a loro volta tentano di tranquillizzarlo sulla bontà dei prodotti stessi pubblicizzando la qualità delle materie prime utilizzate. La forte espansione del mercato kasher è giustificata anche da questa nuova esigenza: molti consumatori - anche non ebrei - si sentono rassicurati sapendo che il cibo che mangeranno è stato sottoposto ad un vigile controllo di persone esterne all'azienda produttrice e che utilizzano come prontuario per garantire la certificazione di qualità. un testo di diretta ispirazione Divina!
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