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Ad oggi la produzione alimentare, sommando quella agricola a quella derivata dall'allevamento e dall'acquacoltura, basterebbe a sfamare l'intero Pianeta.

L'entità cli questa produzione è per definizione incostante, perché legata sia a fattori ambientali che mutano nel medio e lungo termine - come l'impoverimento del suolo, la crisi idrica strutturale in molti Paesi del Medio Oriente e imminente in Cina - sia a catastrofi naturali imprevedibili, come lo Tsunami che investì il Giappone nel

2011, rendendo inutilizzabili vaste aree coltivabili, oppure l'ondata di incendi che colpì le colture in Russia nel 2010, che indusse un blocco dell'esportazione di granaglie.

Eppure il problema della fame, che oggi affligge più cli un miliardo di persone nel Terzo Mondo, dipende da ragioni economiche piuttosto che dalla volatilità della produzione. Se nei Paesi più sviluppati il costo dell'alimentazione si assesta intorno al 25% del reddito individuale, nel Terzo Mondo arriva a superare il 70%. In questo scenario un rincaro del cibo anche minimo diventa incisivo. Secondo la Banca Mondiale, nell'arco temporale che va dal 2002 al 2008 il prezzo del cibo nel mondo è aumentato del 130%, spingendo ogni mese oltre 50 milioni di persone al di sotto della sussistenza.

 

Nell'Unione Europea, a giocare un ruolo decisivo è un'industria del cibo fortemente orientata alla trasformazione delle materie prime, che crea prodotti altamente lavorati e pubblicizzati e li immette sul mercato ad un prezzo finale gonfiato. L'aumento del costo delle materie prime invece è un fenomeno generalizzato: secondo la Banca Mondiale la bolla dei prezzi è causata per un 30% dall'aumento del costo dei carburanti, e quindi dei fertilizzanti derivati da idrocarburi e per un 70% dal passaggio dei terreni dalla produzione alimentare a quella del biocombustibile.

 

Il caso più rappresentativo negli Usa, primo esportatore al mondo di granaglie, dove circa un terzo di tutto il grano coltivato è destinato alla produzione di idrocarburi.

A questo rincaro fisiologico si aggiunge quello derivante dalla forte attitudine speculativa dei mercati finanziari: la volatilità dei mercati, legata a doppio filo al prezzo del petrolio, attira una grande quantità di operatori esterni alla "catena del cibo", che riversano un'ingentissima quota di capitali sui titoli del mercato agricolo, causando un aumento dei prezzi puramente finanziario.

Nel Terzo Mondo la produzione di cibo speculation oriented ha un ulteriore impatto: per abbattere i costi di produzione vengono favorite le grandi monocolture, da sole inadatte alla corretta alimentazione degli abitanti e comunque solitamente destinate all'export verso l'Occidente.

In uno scenario geopolitico mondiale che riflette le difficili condizioni alimentari, le contromisure esistono. Attraverso precise strategie a lungo termine e l'azione congiunta dei Governi, si potrebbero cessare i sostegni al biocombustibile, stabilire a monte un prezzo più basso per delle quote di prodotto escluse dal normale commercio globale e soprattutto non far entrare all'interno del mercato finanziario operatori esterni alla "catena del cibo".